CATULLO, OVIDIO E I RIMEDI D’AMORE



ATTO UNICO

DRAMATIS PERSONAE
Ovidio, poeta latino
Catullo, poeta latino
Alessandro, uno schiavo
Cecilia, una schiava


(1 d.C., casa di Ovidio, Roma. Ovidio e il suo schiavo Alessandro sono in casa. È appena terminata la festa che il poeta ha organizzato per celebrare la prima recitatio della sua opera, che avverrà il giorno seguente).

OVIDIO (si aggira per la casa gridando) - Alessandro! Alessandro! Per Ercole, dove ti sei cacciato?
ALESSANDRO – Eccomi, signore! Stavo accompagnando alla porta gli ultimi ospiti. Cosa desideri? Qualcosa da bere? Eppure mi era sembrato che avessi bevuto abbastanza per stasera, ma… a chi importa! È festa oggi e dunque non c’è nessun problema. Caldo, freddo, temperatura ambiente? Su, forza, dimmi.
OVIDIO - Devi smettere di anticipare le mie richieste, sbagliandole anche. Un giorno di questi ti rivendo e, fidati, lo farò per pochi spiccioli. C’è giusto quel mio amico Cassio che afferma che tu sei molto "simpatico" a sua moglie: credo che non si farebbe problemi ad accontentarla, soprattutto con il prezzo di favore che gli farei.
ALESSANDRO (preoccupatissimo e supplichevole) - No, signore, ti scongiuro! Starò zitto, per ora. Anzi, non parlerò mai più. Tu, però, promettimi che non mi manderai mai in casa di quella… signora!
OVIDIO - Su, basta, non c’è bisogno di mettersi in ginocchio, tantomeno di pregarmi: queste sono cose che dovresti riservare agli dei, se vuoi che siano magnanimi con te. Piuttosto, volevo chiederti…
ALESSANDRO - Sì, certo, dimmi!
OVIDIO - Non avevi detto che avresti taciuto?
ALESSANDRO - Sì, signore, perdona la mia boccaccia… Continua.
OVIDIO- Dicevo, la mia camera da letto è pronta? Domani è un gran giorno e vorrei essere riposato. S’è già fatto tardi e la confusione e il vino non hanno fatto altro che peggiorare il mio nervosismo. Spero che, almeno, l’alta società di Roma sia stata felice di questa festicciola esclusiva e che domani i miei ospiti non disturbino la lettura.
ALESSANDRO - Ma, ovviamente, signore! La tua camera da letto è pronta sin da stamattina, la schiava l’ha risistemata poco dopo che ti sei alzato. E, se permetti…
OVIDIO - Cosa , Alessandro?
ALESSANDRO - A mio parere, la tua festa è stata straordinaria e ho visto gli invitati tutti molto allegri e soddisfatti. Però… Hai presente quei due uomini che ho accompagnato alla porta proprio qualche minuto fa?
OVIDIO - Se non sbaglio, erano Cornelio e Tarquinio.
ALESSANDRO - Esattamente. Si lamentavano, dicendo che non c’erano state abbastanza ballerine a rallegrare la nostra serata.
OVIDIO- Che ingrati! Ho dato loro vino in abbondanza, musica e le migliori danzatrici sul mercato, e loro che fanno? Criticano, come due vecchie pettegole, quasi si alimentassero delle loro stesse chiacchiere. Alessandro…
ALESSANDRO - Sì, signore?
OVIDIO - Mi ritiro. Domani ho la lettura pubblica e non ho ancora riguardato i miei versi.
ALESSANDRO - Certo, signore. Buon riposo.

(Si allontana).

OVIDIO (declama) - Siquis in hoc artem populo non novit amandi,
Hoc legat et lecto carmine doctus amet.
Arte citae veloque rates remoque moventur,
Arte leves currus: arte regendus amor.
Curribus Automedon lentisque erat aptus habenis,
Tiphys in Haemonia puppe magister erat:
Me Venus artificem tenero praefecit Amori;
Tiphys et Automedon dicar Amoris ego.
(Bussano alla porta).
In questa casa oggi non c’è pace! Chi è? Entra! 
CECILIA - Signore, mi devi scusare, ma è appena arrivato un uomo: dice che viene da parte del tuo 
amico Lucio, da Verona, perché anche lui ha saputo che domani ci sarà la prima lettura pubblica della tua opera e ti ha mandato una copia dei carmina di Catullo per augurarti buona fortuna.
OVIDIO- Grazie, Cecilia, lascia pure qui il libro. E offriamo ospitalità a quell’uomo: gli sia data la camera più bella di cui disponiamo e che mangi pure tutto quello che desidera. Qualsiasi cosa per un servitore di Lucio, che sia trattato con riguardo. 
CECILIA - Sarà fatto, signore. Con il tuo permesso.
OVIDIO - Un’ultima cosa, Cecilia. Chiedigli scusa da parte mia, se non lo ricevo personalmente, e riferiscigli che domattina gli detterò il messaggio di ringraziamento da riportare al caro Lucio.

(Cecilia annuisce, si inchina e si allontana).

OVIDIO - Vediamo un po’… A quanto pare Catullo resta il poeta preferito di Lucio
(ride). Sin da quando studiavamo insieme qui, a Roma, diceva che nessuno era superiore a lui per la profondità dei sentimenti espressi e la dottrina di cui i suoi versi sono pieni. 
Apre il libro, trova il primo carme con una dedica di Lucio e lo legge.

Iucundum, mea vita, mihi proponis amorem
hunc nostrum inter nos perpetuumque fore.
Di magni, facite ut vere promittere possit,
atque id sincere dicat et ex animo,
ut liceat nobis tota perducere vita
aeternum hoc sanctae foedus amicitiae.

Vita mia, mi prometti che questo nostro amore
tra di noi sarà felice e perpetuo.
Grandi dèi, fate in modo che possa promettere con verità,
e che dica ciò sinceramente e dal profondo del cuore
cosicché ci sia permesso di protrarre per tutta la vita
questo nostro eterno patto di santa amicizia. 

OVIDIO - Che gli dei ti proteggano, Lucio! E che benedicano la nostra amicizia, amico mio!

(Sbadiglia, poggia il libro e si addormenta).

CATULLO - Ovidio! Ovidio! Che fai, dormi? E io che mi sono scomodato apposta per venire a parlare con te! 
OVIDIO - (mezzo intontito dal sonno) Devo riposare… riposare. Domani è un gran giorno: non posso perdere tempo in chiacchiere stanotte, altrimenti domani non farò una bella figura…
CATULLO - Ma davvero? Stai rifiutando l’occasione di parlare con me, il poeta Catullo, solo perché vuoi dormire e mostrarti al meglio delle tue forze domani? Sai, Ovidio, ti facevo meno interessato all’apparenza e più all’arricchimento della tua cultura personale. Evidentemente mi sbagliavo. Dovevo aspettarmelo: ho idealizzato sempre troppo le persone, sbagliando, perché alla fine resto sempre deluso.

(Fa mossa di andarsene)

OVIDIO (si è svegliato del tutto) – Aspetta! Tu? Catullo? Come può essere vero? Hai lasciato la terra degli uomini da diversi anni, ormai… Come possiamo noi ora parlare? Non sarò morto anch’io? Dimmelo, Catullo, perché, se questo è uno scherzo, non lo trovo divertente.
CATULLO - Tranquillo, caro Ovidio, tu non sei morto, ma questo non è uno scherzo.
OVIDIO - E allora che sta succedendo? Quale dio vuole mettermi alla prova mandandomi la tua anima? O sei qui per punirmi? Parla!
CATULLO – (serio) Non scaldarti, né agitarti, Ovidio. Se avessi saputo che la mia visita ti avrebbe turbato in questa maniera, non sarei mai venuto a trovarti: non è mia intenzione spaventarti, soprattutto non alla vigilia di una giornata così importante per te. (con ironia) Avrei preso un appuntamento, ma non credevo di essere in grado di farlo. Mi sarei fatto annunciare, ma quale servitore mi avrebbe condotto da te se mi fossi presentato con il mio vero nome? Sarei stato preso per un pazzo o per un ubriaco. 
OVIDIO - Ma quindi tu sei realmente il poeta Catullo? 
CATULLO - Sto cominciando a spazientirmi, Ovidio. Sì, sono realmente io. Come tu stesso hai detto, ho lasciato il mondo degli uomini da diverso tempo ma questo non costituisce un ostacolo al nostro dialogo, perché neanche tu adesso ti trovi nella terra degli uomini. 
OVIDIO - Allora sono realmente morto! Per Giove! Per tutti gli dei!
CATULLO - Ovidio, per l’ultima volta, non sei morto. Se mi lasciassi parlare, capiresti. Tu non sei morto e io non sono vivo. Tu stai sognando e io, in quanto morto, posso parlarti solo in questa maniera. Ora che sei più tranquillo, non vorresti sapere perché sono venuto a trovarti? 
OVIDIO - Certo, nobile Catullo. Dimmi tutto.
CATULLO - Ebbene, ho saputo che hai scritto opere che trattano d’amore e anche che ti definisci, seppur riconoscendoti una certa differenza e originalità, un continuatore dell’opera dei poeti come me, dei poetae novi, come ci hanno definiti.
OVIDIO - Sì, non sbagli. E, dunque, cosa vuoi dirmi riguardo alla mia opera? 
CATULLO - Diciamo che l’ho letta. Anzi, diciamo che ti ho seguito durante tutto il lavoro di composizione, senza poter esprimere un commento, un’opinione, senza poterti aiutare. E ora che ho questa occasione, vorrei poterti parlare del tuo lavoro e di quello che penso. Sei disposto ad ascoltarmi?
OVIDIO - Ma ovviamente, Catullo! Parlami pure apertamente: sicuramente una tua critica vale molto di più di tutte quelle che potrei ricevere domani, messe insieme. 
CATULLO - Mi fa piacere sentirti così disponibile al confronto. Vediamo un po’: versi veramente belli, un tema intrigante, stile interessante, metro ben strutturato… Un ottimo lavoro, direi. Vorrei solamente dirti qualcosa riguardo alla tua concezione dell’amore, quella che riporti nei tuoi versi, quella che probabilmente trasmetterai ad alcuni dei tuoi lettori, probabilmente ai più giovani. (Resta un attimo in silenzio) Davvero per te l’amore è un gioco, un divertimento? 
OVIDIO - Certo, mio buon Catullo: l’amore è il gioco più bello, più divertente e appassionante e anche quello in cui si vince il premio migliore. (ride) Ma perché mi chiedi questo? 
CATULLO - Sai, ogni volta che leggiamo qualcosa, soprattutto su un argomento così comune e universale come l’amore, siamo indotti a rapportare ciò che l’autore di quei versi o di quel passo scrive alla nostra esperienza. O mi sbaglio? 
OVIDIO – No, hai pienamente ragione, amico mio. Credo che sia impossibile negare questo confronto alla nostra mente: è una cosa che accade fuori del nostro controllo.
CATULLO - Concordo. E confido nel fatto che tu non ti offenda per quello che sto per dirti. Io credo che tu ti stia sbagliando: l’amore non è un gioco per l’uomo, non è piacevole, non rende felici. Forse, solo all’inizio, solo in apparenza...
OVIDIO - Cosa cerchi di dirmi, Catullo?
CATULLO - Quello che intendo dire è che, quando ti innamori e sei ricambiato, la vita ti appare come una cosa meravigliosa, una festa continua e tu non vuoi altro che passare il tuo tempo con la persona che ami… I tuoi occhi si nutrono della visione della sua immagine e, allo stesso tempo, il tuo stomaco rifiuta il cibo, in quello stato di pienezza che solo l’amore sa darti. Tutto passa in secondo piano: il lavoro, i doveri, i tuoi bisogni, le promesse che avevi fatto, gli incontri che avevi programmato… Niente è più importante per te della la tua amata.
OVIDIO - E credi che questo sia un male? Credi che sia qualcosa di negativo quello che ti rende felice e gioioso con la sola vista e quello che è capace di annullare tutti i tuoi problemi e i tuoi doveri con un sorriso? Suvvia, Catullo, integrità e contegno, certo, ma a nessuno ha mai fatto male una dose gratuita di felicità!
CATULLO - Ovviamente, ma che succede se quella che tu chiami “dose gratuita di felicità” è destinata a diventare follia per coloro che amano? L’amore ti porta ad annullare te stesso e a sentirti incompleto, quando l’oggetto del tuo amore non è con te. Quando sei lontano dalla persona amata per poco tempo e sai che la rivedrai al più presto, la sofferenza che provi è piacevole, perché rassicurato dal fatto che terminerà presto. Al contrario, quando sai che la persona che ami non tornerà da te, come puoi smettere di essere felice e gioioso a causa di un sentimento che non fa altro che ferirti e divorarti dall’interno? Se non sai accettare la realtà, per quanto dolorosa sia, impazzisci. Te lo dice uno che ci è passato e che, forse, non ne è ancora uscito…
OVIDIO - Comprendo quello che dici e mi permetto di risponderti. Catullo, l’amore rende pieni, felici e ti fa guardare la vita con altri occhi. Tuttavia, bisogna fare attenzione a non amare troppo, per evitare di annullarsi e di vivere in funzione di un’altra persona. Quando giochi, ti diverti, certo: se vinci sei felice, se perdi, non ne fai causa di follia e di disperazione. Allo stesso modo, in amore devi fare attenzione a non esporti e a non amare troppo, affinché, quando finisce il gioco, tu sia in grado di alzarti da quel tavolo illeso e senza gravi conseguenze.
CATULLO - E tu pensi che si possa “ non amare troppo”? L’amore non ha quantità, o si ama, o non si ama. Non decidi tu chi amare e non decidi neanche quanto amare. Come puoi illuderti del contrario?
OVIDIO - Non mi illudo, Catullo, cerco solo di godere di quello che vita mi offre senza dover necessariamente farmi del male.
CATULLO - Credi, dunque, che io mi sia fatto del male e che abbia sbagliato?
OVIDIO - Se devo essere sincero, sì, secondo me, hai sbagliato.
CATULLO - Io ci credevo… io ci credevo davvero quando la riempivo di lodi e complimenti, e screditavo tutte le altre donne romane a suo paragone. Io ci credevo quando le dicevo di vivere il nostro amore e di non curarci dei giudizi e dei commenti degli altri. Io ci credevo, quando le giuravo amore eterno. E, sì, forse hai ragione: ho sbagliato, non ho saputo frenare la mia passione e il mio amore e ho finito per danneggiare me stesso, quando tutto ciò che volevo era far sentire lei amata e protetta.
Piange.
OVIDIO - Forza, Catullo, non è necessario che tu pianga: devi lasciarti questa brutta storia alle spalle. Tu non hai sbagliato. Non si sbaglia mai, quando si ama, si sbaglia quando non si ama a sufficienza se stessi.
CATULLO - Hai ragione, amico mio. Io ero venuto qui con l’intenzione di spiegarti qualcosa, ma in realtà sei tu che hai dato una lezione a me. Fai bene tu a parlare dell’amore come fosse una scienza, a spiegarlo razionalmente e a dare consigli pratici a uomini e donne per godersi questo meraviglioso dono che la vita offre loro. E fai bene anche a suggerire dei rimedi contro l’amore e a mettere in guardia il tuo pubblico riguardo a questo spietato sentimento.
OVIDIO - Ora non esageriamo. Non dipingermi come colui che salverà Roma dell’amore. Non sappiamo neanche se la mia opera colpirà qualcuno domani, se qualcuno ne parlerà ancora il prossimo mese.
CATULLO - Sei un grande uomo, Ovidio. Meriti stima e riconoscenza. Voglio dirti un’ultima cosa, amico mio. Poi ti lascerò finalmente riposare in pace. Nell’oltretomba, siamo privati della vita e di tutto ciò che essa comporta. Tuttavia abbiamo un vantaggio: conosciamo già quello che accadrà in futuro. Non temere: non ho intenzione di parlarti del destino dell’Impero o degli anni che ancora devi vivere. Ci tengo semplicemente a dirti che non solo parleranno di te il prossimo mese, ma forse lo faranno anche tra 2000 anni… Ora devo andare. E anche tu hai un impegno. Addio, figlio mio.
Miser Catulle, desinas ineptire,
et quod uides perisse perditum ducas.
Fulsere quondam candidi tibi soles,
cum uentitabas quo puella ducebat
amata nobis quantum amabitur nulla.
ibi illa multa cum iocosa fiebant
quae tu uolebas nec puella nolebat.
Fulsere uere candidi tibi soles.
nunc iam illa non uult. Tu quoque impotens noli
nec quae fugit sectare. Nec miser uiue,
sed obstinata mente perfer, obdura.
Vale, puella. Iam Catullus obdurat,
nec te requiret, nec rogabit inuitam.
At tu dolebis cum rogaberis nulla.
Scelesta, uae te! Quae tibi manet uita?
Quis nunc te adibit? Cui uideberis bella?
Quem nunc amabis? Cuius esse diceris?
Quem basiabis? Cui labella mordebis?
At tu Catulle desinatus obdura.

Disperato Catullo, falla finita con le tue follie;
ciò che vedi perduto, come perduto consideralo.
Brillarono un tempo per tè giornate radiose,
quando sovente venivi agli incontri che la ragazza fissava,
quella che abbiamo amata come nessun'altra ameremo.
Là si svolgevano giochi gioiosi d'amore senza mai fine,
che tu pretendevi, ne lei rifiutava
(brillarono veramente per tè giornate radiose).
Ormai lei li rifiuta; (rifiutali) anche tu, sebbene incapace a frenarti.
Non cercarla, se sfugge; e non vivere da disperato,
ma con ostinazione sopporta; tieni duro.
Cara ragazza, addio. Alla fine Catullo tiene duro;
più non ti cercherà, più non t'implorerà, tanto non lo vuoi;
ma ti pentirai, quando nessuno più t'implorerà.
Guai a tè, disgraziata! Che vita t'attende?
Chi adesso ti verrà a cercare? Chi ti troverà carina?
Con chi farai oggi l'amore? A chi dirai: «Sono tua»?
A chi darai i tuoi baci? A chi morderai le labbra?
Ma tu, Catullo, con ostinazione tieni duro!

ALESSANDRO - Signore, si svegli! È mattino! Tra poche ore avrà la recitatio della sua opera! Non vorrà mancare, signore!
OVIDIO: Sono sveglio, Alessandro. Avvisa Caecilia che mi prepari la colazione: sto arrivando.

(Guarda il libro di Catullo, lo trova aperto al carme 8 e sorride).

Grazie, Lucio! E grazie anche a te, Catullo!

ANGELA PAGLIARA, IV B

Commenti

Post più popolari

UN GINNASIALE IN CONSULTA

AULULARIA: un esercizio di riscrittura

AD UN VINCITORE NEL CERTAMEN