LE LEGGI DELLE DODICI TAVOLE


A Roma, già intorno alla metà del V sec. a.C., si sviluppano corpi di leggi contenenti regole di diritto pubblico e privato. Nei tempi più antichi, il compito di far prevalere le regole del diritto era affidato alle gentes e alle singole familiae; in seguito, fu lo Stato a svolgere questa funzione attraverso i pontefici, ma le rivendicazioni dei plebei miravano anche a sottrarre loro l'amministrazione del diritto civile. La plebe ottenne una commissione mista di patrizi e plebei, chiamata Decemviri legibus scribundis, con l'incarico di redigere in forma scritta leggi che valessero per tutti i cittadini. Questo primo codice di leggi scritte fu chiamato “XII Tabularum Leges”. Nella foto in alto è ritratta la morte di Virginia, una fanciulla plebea che il padre preferì uccidere piuttosto che consegnare al decemviro Appio Claudio Crasso: una delle tante leggende fiorite intorno alla storica vicenda della redazione del primo codice romano di leggi. 
Le tavole originali andarono perdute nel saccheggio di Roma da parte dei Galli Senoni di Brenno nel 390 a.C. Le leggi dovevano coprire l'intero campo del diritto (diritto sacro, pubblico, penale, privato), compreso il processo. Tra l'altro, vi si prevedeva una sanzione speciale per i casi di lesione patrimoniale, come il furtum e i pauperies (danneggiamento derivante da comportamenti animali su persone diverse dai proprietari).
Qui di seguito parafrasati alcuni esempi:
·per colui che brucia una casa e fa morire nelle fiamme i suoi occupanti, la pena era di risarcire il danno; se no, era castigato con una pena più lieve.
·Subiva la pena incendiale chi appiccava un incendio all'interno delle mura della città, mentre veniva applicata una pena più lieve a chi appiccava un incendio a una casa. Bisognava valutare se la volontà del soggetto era dolosa (l'autore veniva legato, fustigato e messo a morte con il fuoco) o colposa (l'autore veniva condannato a risarcire il danno arrecato: noxiam sarcire).
·Caso costituito dal pascolo e dal danneggiamento notturni: si aveva quando veniva usato per pascolo il fondo altrui, danneggiandone i frutti. Il colpevole veniva condannato, se adulto (pubere), alla pena di morte attraverso l'impiccagione e sacrificato alla dea Cerere (dea della Fertilità dei campi); se non adulto (impubere), al risarcimento del danno.
Si tratta ovviamente di forme giuridiche alquanto primitive, come si nota dal fatto che vi trovi ancora spazio la legge del taglione. Infatti nella Tavola VIII riguardante gli illeciti, si dice:
Si membrum rupsit, ni cum eo pacit, talio esto; Se una persona mutila un'altra e non raggiunge un accordo con essa, valga la legge del taglione”. Tuttavia, inizia così la plurimillenaria vicenda dell'importantissimo Diritto romano, irrinunciabile ai fini della comprensione delle basi del diritto di molte nazioni occidentali, ancora fondamentale argomento di studio nel settore giuridico (non a caso, alla Facoltà di Giurisprudenza sono previsti esami di Istituzioni di Diritto romano, Storia del Diritto romano, Diritto romano)
Nelle Tuscolanae Disputationes Cicerone vantava quale peculiarità e fonte di grandezza del popolo romano proprio le sue leggi: "rem … publicam nostri maiores certe melioribus temperaverunt et institutis et legibus". E lo stesso Virgilio vi fa implicitamente riferimento nel celebre passo del VI libro dell'Eneide:
"Excudent alii spirantia mollius aera
(credo equidem), vivos ducent de marmore vultus,
orabunt causas melius, caelique meatus
describent radio et surgentia sidera dicent:
tu regere imperio populos, Romane, memento
(hae tibi erunt artes), pacisque imponere morem,
parcere subiectis et debellare superbos."
"Forgeran con più arte spiranti bronzi altri popoli,
lo credo, e vivi dal marmo saprai trarre i volti,
diranno meglio le cause, le strade del cielo
misureranno a sestante, il sorger degli astri sapranno:
tu ricorda, o Romano, di governare le genti:
questa sarà l’arte tua, e dar costumanza di pace,
usar clemenza a chi cede, ma sgominare i superbi".


Francesco Dipierro,
Roberta Cardascia,
III B

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