"CONTINUA TU 2016/17": LA SINTESI.





Riportiamo anche qui sul blog le tracce del concorso "Continua tu" recentemente concluso sulla nostra pagina Facebook, per consentire votazioni più agili e rapide.
Per ricordare.



13 gennaio 2017
VOTATE IL VOSTRO RACCONTO PREFERITO!!!
Ritorna per il quarto anno consecutivo il concorso di scrittura creativa collettiva on line per le classi prime del Morea, "Continua tu".
Anche quest'anno le I A, B, C hanno ricevuto il compito di continuare un incipit dato. Alle classi sono stati abbinati per sorteggio gli inizi di due romanzi ed un racconto della pluripremiata scrittrice molese Marisa Vasco, Moreana doc. Adesso tocca a voi, amici del Morea: votate per il racconto che più vi piace, cliccando un like sotto il post appropriato in questa pagina. Contribuirete alla vittoria di una delle tre classi in gara, alla promozione della scrittura creativa e alla diffusione del nostro blog. Le votazioni si chiuderanno alle ore 20 del 16 gennaio. Vi aspettiamo numerosi!




5 novembre 1971
Cecilia
Erano le due di pomeriggio, un tiepido ed ombroso pomeriggio dei primi giorni di novembre. Le pesanti imposte esterne, color terra, completamente in legno, erano aperte e fermate con una catenella ai muri laterali.
Come è d’uso nei bassi, attraverso i vetri della porta interna, si alternavano i trini ingialliti delle tendine a scene di vita quotidiana.
L’aria era greve, come il suo animo, nuvole la attanagliavano. Era stata dimessa quella mattina dall’ospedale dove era stata ricoverata insieme a sua sorella Caterina. Il risultato delle sue analisi non lasciava adito a dubbi: carcinoma.
Cecilia sapeva bene cosa fosse.
Guardò senza curiosità attraverso i vetri, nessun passante. Era l’ora in cui ci si appisolava in cucina o sulla poltrona dopo pranzo.
In ospedale era rimasta sua sorella abbastanza malconcia, dopo un brutto intervento.
Caterina non doveva sapere del suo problema, era la sua piccola e debole sorella, bisognava
… (da “La scure” di M. Vasco)
...proteggerla dal dolore.
Quel pomeriggio Cecilia era assorta nei suoi pensieri. Ripensava a quella mattinata, quando tutto accadde. Erano diretti a casa della nonna, tutta la famiglia al completo, quando una macchina gli venne incontro e si ritrovarono in un letto di ospedale .
A causa dell’incidente, la sorella Caterina venne operata, mentre Cecilia e i genitori vennero dimessi. La permanenza di Caterina in ospedale non era dovuta alla ferita provocata dall’incidente, ma ad un tumore maligno, che i medici le avevano diagnosticato in seguito ai risultati degli accertamenti.
Caterina, sei anni, e l’ingenuità di chi ancora non conosce il significato della parola “morte”. Aveva tanti sogni e desideri, ma nessuno, neanche i medici, aveva la certezza che ce l’avrebbe fatta.
Era necessario far tornare un raggio di sole in quei giorni tanto cupi.
Cecilia cercò in tutti i modi di essere vicina alla sorella, così decise di compilare una lista con tutti i desideri da poter realizzare insieme.
Sarebbe stato bello passare la notte al mare, svegliarsi la mattina con il profumo dell’acqua cristallina, nella quale il sole si riflette, e con il suono delle onde che si infrangono contro gli scogli.
Sarebbe stato bello respirare l’aria pura, sentire i raggi del sole solleticare la pelle e stare a contatto con la natura; passare il tempo nella pace dei boschi era una delle cose che Caterina amava tanto fare.
Sarebbe stato bello addormentarsi sul prato morbido della campagna durante una sera, con la luna e le stelle che illuminavano l’atmosfera.
Sarebbe stupendo poter andare allo zoo, ammirare tutte le specie degli animali che ci vivono, udire ogni loro ruggito, cinguettio, e potersi permettere qualche sfizio dai vari negozietti al suo interno.
Caterina amava pattinare e sarebbe stato bello se per l’ultima volta avesse potuto farlo con sua sorella.
Sarebbe stato bello pedalare in mezzo ai campi coltivati, assaporando la freschezza della natura e la bellezza del panorama.
Sarebbe stato bello poter cavalcare un cavallo; lo desiderava sin da piccola, ma i suoi genitori non glielo avevano mai permesso per paura che potesse succederle qualcosa. Ora, però, era il suo momento, poteva farlo.
Caterina amava stare con gli amici, così Cecilia pensò che le sarebbe piaciuto passare un’ultima giornata insieme a tutti i suoi amici per divertirsi.
Quello fu l’ultimo desiderio della lista, ma non di certo il meno importante.
Caterina, però, non poteva lasciare l’ospedale, quindi si dovevano in qualche modo portare quei luoghi che tanto amava da lei.
Cecilia esaudì anche l’ultima richiesta di sua sorella, così organizzò una gran festa dove parteciparono tutti i loro amici, ma durante la festa Cecilia sentì dei dolori sempre più forti, che già da qualche giorno aveva, ma che attribuiva al trauma in seguito all’incidente.
All’improvviso, si accasciò a terra.
Cecilia, che si trovava già in ospedale per la festa di sua sorella, venne ricoverata d’urgenza, ma i medici non poterono far altro che confermare la tragica morte della ragazza.
La morte improvvisa di Cecilia per i medici inizialmente fu quasi inspiegabile, ma solo in seguito si ebbero certezze. Cecilia, che tanto aveva sudato per rendere stupendi quegli ultimi giorni alla sua sorellina malata, era affetta da carcinoma: durante gli accertamenti, a causa di una svista, i risultati delle due sorelle erano stati scambiati.


I C 



L'antologia di racconti di autori vari da cui è tratto l'incipit di "Anno Domini 2012"

Il respiro affannoso, il debole lamento e le unghie che grattavano sui tufi in cerca di uno spiraglio di luce erano appena percepibili nel lungo e oscuro corridoio del monastero. La giovane donna che passava accanto non udì niente.
Aveva appena svoltato l’angolo ed era stata inghiottita dal budello tortuoso e buio che conduceva nella sua aula mentre i rintocchi delle campane suonavano per il richiamo alla messa vespertina.
Daniela, così si chiamava la maestra, guardò l’ora sul cellulare: erano le 17.00 del 26 gennaio 2012. Fra mezz’ora sarebbe suonata la campanella dell’uscita.
Le voci si levavano alte per i canti religiosi mentre i frati, ricoperti dal serafico saio francescano, erano completamente rapiti dalle parole che il celebrante pronunciava.
Le cappelle laterali comunicavano fra loro attraverso archi sormontati da teste angeliche con gli occhi rivolti al cielo. Ai lati gli altari erano riccamente addobbati
… (da “Anno Domini 2012” di Marisa Vasco)
...Intanto due giorni sono passati. Del custode, nessuna traccia. Nel monastero si respira aria carica di tensione, perché sono arrivati il commissario Guglielmi e la squadra dei RIS, a causa della recente scomparsa del custode. Dopo ore interminabili a cercare una prova che avrebbe potuto incastrare un potenziale colpevole, finalmente i RIS accumulano l’essenziale per giungere ad una conclusione certa. Infatti, il giorno seguente, il preside della scuola viene convocato in commissariato, con l’accusa di omicidio colposo e di occultamento di cadavere, grazie alle impronte delle suole delle sue scarpe ritrovate sul luogo del delitto, risalenti al giorno della scomparsa, in cui i due avevano litigato per motivi futili, e così viene arrestato.
Nonostante l’accaduto, la vita in monastero deve continuare; infatti, come è solito svolgersi alle 9 in punto di ogni venerdì, la maestra Daniela è impegnata a leggere alcuni versetti della Bibbia alla sua classe. Ed ecco Tancredi, lì, seduto all’ultimo banco a destra, adiacente al calorifero, con la testa china e la penna impugnata nella mano fervida che percorre il foglio bianco. Solo una persona sembra essersi accorta del suo disinteresse, Daniela che, con la coda dell’occhio, scruta attentamente anche il più nascosto movimento di Tancredi. L’attesa per il suono della campanella è estenuante per gli alunni, ma dopo alcuni istanti essa termina: è incominciato l’intervallo. Il cortile è già pieno zeppo di ragazzini intenti a divertirsi e a divorare la loro merenda insieme, ma l’unico ragazzo che preferisce continuare a scrivere, invece che interagire con gli altri, è Tancredi. Allora la maestra si avvicina e chiede preoccupata: “Cosa succede? Come mai hai la testa altrove?”. il ragazzo alza lo sguardo verso la donna, considera prima l’idea di tacere, ma ci ripensa e dice: “Alle scomparse, dopotutto, una spiegazione c’è. Di solito.”. E, detto questo, Tancredi si alza e se ne va. Daniela, perplessa, comincia a porsi domande di ogni genere, fino a che il suo sguardo cade sul quaderno del ragazzo, e tra sé legge: “… Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra, perché si sgozzassero a vicenda, e gli fu consegnata una grande spada …”. A questo punto la maestra si reca immediatamente nell’archivio, per cercare informazioni sulla vita di Tancredi e del custode; così si accorge di non aver mai conosciuto il vero Tancredi e la vera identità del custode… Con le mani tremolanti riesce a prendere il cellulare e con la voce strozzata, comunica al commissario Guglielmi di avere in mano prove alquanto valide.
“Prego, entri”, dice Daniela al commissario, facendogli segno con la mano di accomodarsi per discutere della telefonata avvenuta poche ore prima tra loro. La scrivania è traboccante di documenti relativi al caso pendente, così Daniela si avvicina ad essa e comincia a rovistare per cercare l’archivio di informazioni relative ai due in questione. “Bene, voglio parlare con il ragazzo, gli dica che lo aspetto tra mezz’ora nel mio ufficio”. 19.30: Daniela e Tancredi aspettano di essere ricevuti dal commissario e, quando questi comincia a fargli notare che ha scoperto che il ragazzo ed il custode hanno il medesimo cognome e ad accusarlo, sul volto del ragazzo si fa largo un sorrisetto sghembo. Allora il commissario si incuriosisce e inizia a fargli tantissime domande, così Tancredi, preso da una crisi isterica, libera in un pianto le frustrazioni di un’infanzia trascorsa male. Con il dorso della mano si asciuga le lacrime e confessa: “Ho sempre vissuto e sto vivendo una vita senza un padre. Avevo sei anni quando una sera sentii dalla mia camera urla strazianti; mi precipitai in cucina, vidi mio padre e pensai: <<Finalmente è tornato>>. Solo che non era lì per me, bensì per mio zio, se così si può chiamare. Discutevano ininterrottamente, mi distrassi per guardare mia madre, la quale, seduta in angolo, piangeva; e due secondi dopo vidi mio padre accasciarsi a terra, contorcersi dal dolore, per poi morire sotto i miei occhi, occhi innocenti che non poterono far nulla neanche quando lo zio strappò via la vita anche dal petto di mia madre. Poi si chinò e, incrociando i miei occhi, recitò le parole dell’apocalisse“. “Va avanti”, dice Guglielmi. Il ragazzo si alza con ira funesta, ridendo istericamente, e dice: “Lei, commissario, vuole sapere chi è il famoso zio? Il custode. E ora scommetto anche che si starà chiedendo come abbia fatto a ricordarmi di lui dopo 10 lunghissimi anni! Veda, non potrò mai dimenticare quando in quella maledetta notte i suoi occhi mi scrutarono. Così, quando il preside del monastero assunse questo nuovo custode, guardandolo negli occhi, capii che si trattava dell’assassino dei miei genitori”. Sospira e continua: “Mi arresti pure, la mia vendetta l’ho compiuta”. “Bene, sulla base della versione dei fatti, la dichiaro ufficialmente in arresto. Morra, lo porti via”, disse il commissario.


I A 









Sono immerso nel buio. Spalanco gli occhi cercando di vedere qualcosa, ma l’oscurità mi attanaglia, mi soffoca, mi impedisce di respirare.
Con le mani afferro il colletto della camicia e tiro, tiro ancora.
Voglio strapparlo per riprendere fiato, per liberarmi, ma invano. Non riesco nemmeno a muovermi, non ho forza nelle mani, nelle braccia.
Annaspo cercando qualcuno, qualcosa intorno a me che mi aiuti…
Poi gocce di sudore mi bruciano gli occhi e una luce fioca rischiara la scena.
Sono in aperta campagna, fa freddo.
Il vento gelido mi colpisce il viso e la tensione mi attraversa come un filo di corrente elettrica.
Sento delle voci, non capisco quello che dicono… lontano vedo degli uomini.
Non c’è abbastanza luce. Sono vestiti con abiti scuri. Hanno il volto coperto. Sono tutti uguali… ai piedi dell’albero c’è un fucile…
Guardo meglio. Poco distante c’è un’altra figura… ha una giacca e dei pantaloni alla zuava… demodè, come in un film degli anni Trenta.
Mi sposto piano per vedere meglio, ho terrore di essere scoperto. Strizzo gli occhi per osservarlo, ha una pistola… (da “L’ombra del nibbio”, M. Vasco)
...puntata alla tempia, gronda di sudore e ansima. La mano è tremante, sta per sparare. Mi fermo, mi sento bloccato, sotto shock. Ma sono io quell’uomo che è davanti a me?!?
Perché sono io? Perché mi sto sparando? Perché questa pistola? Non capisco.
Tutto ciò sta accadendo veramente? È un sogno?
Sto ancora sudando, sono nel panico. Le voci continuano a vorticare nella mia mente e non vanno via; non mi permettono di ragionare, di pensare.
Sto impazzendo! Cosa significa tutto questo? Ogni sogno ha un significato, un filo sottile che lo tiene sospeso alla realtà. Ma qual è il senso di tutto ciò?
Aspetta … Sono in una campagna isolata, isolata come lo sono sempre stato io … e quelle persone dall’abito scuro, chi sono? Cosa vogliono da me?
Ma certo! Adesso ricordo: sono i fantasmi di quelli che ho ucciso. Sono i miei sensi di colpa: l’eterna lotta fra il bene e il male che mi assale.
Una piccola parte di me sa che il male sta avendo la meglio. Il male che ho compiuto nel corso della mia vita mi si rivolta contro. Il male mi sta braccando; mi angoscia, mi turba, mi abbatte, come ha abbattuto le vite delle persone che ho freddato.
Sono un assassino!
Mi sveglio di soprassalto, mi alzo dal letto.
Mi reco verso lo specchio e ci vedo riflesso me stesso per quello che sono realmente. Osservo meglio: dentro di me c’è un’ombra scura; il buio, nei miei pensieri.
È il passato che mi perseguita, e non so se riuscirò mai a liberarmene. Realizzo ora che non potrò mai avere pace. La mia vita è un fallimento, una bugia. Ho peccato molto, ho rovinato la vita di numerose famiglie.
Ho bisogno di mettere fine a tutto questo. Sono arrivato ad una conclusione: non sono all’altezza di vivere in questo mondo.
Ho versato sangue innocente, ho infranto dei cuori, ho tolto un pezzo di vita a persone che non lo meritavano. I ricordi mi divorano e continueranno a farlo, se volessi rimanere in questa vita. Ma io non voglio, non voglio più.
Ed eccoci qui: è arrivata l’ora di scontare la mia pena. Improvvisamente le mie dita, fragili e insicure, prendono vigore. Sto puntando contro di me quella canna che non ha esitato un attimo di fronte alle tante sagome indifese che ora affollano la mia mente.
Le dita si muovono, il grilletto si aziona. Ci siamo: fra un attimo la pallottola entrerà nella mia testa tormentata e tutto sarà finito, finito per sempre.
Add…


 I B





16 gennaio 2017
STOP AL TELEVOTO!!!
E RICORDIAMO AGLI AMANTI DEL GRECO CHE TELE- DERIVA DAL GRECO τηλε-, τλε, "LONTANO". 
EBBENE, E' ARRIVATO IL MOMENTO PER NOI DELLA REDAZIONE DEL BLOG DEL MOREA DI DICHIARARE VINCITORI DELLA IV GARA DI SCRITTURA CREATIVA COLLETTIVA "CONTINUA TU" LA CLASSE I C CON 1305 VOTI, ALLE ORE 20 DI OGGI, CONTRO I 1256 E 398 DELLE ALTRE DUE.
RINGRAZIAMO TUTTE LE CLASSI PRIME, CHE HANNO SCRITTO TRE RACCONTI DAVVERO SIGNIFICATIVI ED HANNO PARTECIPATO CON ELEGANZA E SPORTIVITÀ, I LORO DOCENTI D'ITALIANO, ELEONORA LASALANDRA, MANUELA DARESTA, LORENZO MESSA, SENZA I QUALI QUESTO GIOCO NON SAREBBE STATO POSSIBILE E, NATURALMENTE, TUTTE LE PERSONE CHE HANNO VOLUTO APPOGGIARE I NOSTRI RAGAZZI DI PRIMA CLASSE, CHE RAPPRESENTANO PARTE IMPORTANTE DEL NOSTRO SPLENDIDO FUTURO. LUNGA VITA AL LICEO CLASSICO, LUNGA VITA AL MOREA!👑👑👑

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