IL MOREA NELLA TERRA DEI CANGURI: PARTE PRIMA





Se mi chiedessero di utilizzare un solo  aggettivo per definire il primo giorno di questa avventura sceglierei sicuramente la parola "intensa". 
È cominciato tutto la fredda mattina del 4 febbraio, intorno alle 4:30: il sole non era ancora spuntato all'orizzonte, ma la notte stava lentamente volgendo al termine, abbandonando le scure e profonde tonalità del blu zaffiro per lasciare spazio ad un cielo azzurrino, leggermente chiazzato di bianco. Dopo un'abbondante colazione, io e i miei compagni di viaggio ci stavamo preparando per raggiungere l'aeroporto di Bari-Palese, esaltati all'idea di partire per l'Australia.
L'Australia: una meta che, a primo impatto, sembra distaccata dal mondo conosciuto e impossibile da raggiungere. Ci si chiede, talvolta, come l'uomo occidentale abbia fatto a scovarla, seguendo quale volontà abbia  toccato l'altro capo del mondo.
Giunti sul luogo dell'appuntamento, non abbiamo dovuto aspettare molto l'arrivo del Preside e della professoressa Stella Minervini. Rapidamente abbiamo salutato con un caloroso abbraccio i nostri genitori e abbiamo fatto il check-in ma, sebbene l'entusiasmo crescesse in noi sempre più, tutti cominciavamo  anche ad avvertire una certa agitazione. Avremmo saputo intraprendere un viaggio tanto faticoso? Cosa avremmo dovuto aspettarci da un posto così lontano e diverso dall'Italia? Sarebbe andato tutto bene? E se fossimo rimasti delusi? 
Ricordo bene l'iniziale sensazione di insicurezza che ho provato non appena ho messo piede sull'aereo: un'essenza dolce e amara allo stesso tempo. Il volo per Roma è stato breve e piacevole: coloro che non erano riusciti a dormire la sera prima avevano rimediato schiacciando un pisolino, gli altri, invece, chiacchieravano e scattavano foto di nascosto ai loro compagni dormienti. Nella capitale, abbiamo dovuto aspettare due ore prima di poter accedere all'area dei controlli e così prendere il volo per Dubai. Abbiamo deciso, quindi, di fare un giro del posto, mentre rispondevamo alle prime chiamate dei parenti, che ci auguravamo buona fortuna per l'ennesima volta e già sentivano la nostra mancanza, nonostante fossero passate solamente poche ore.
Dopo pranzo arrivò il momento fatidico: l'aereo per Dubai era decisamente più grande e fornito di quello per Roma, adatto ad un lungo viaggio come quello che ci preparavamo ad affrontare. Il volo e' durato sei ore circa. La stanchezza cominciava a farsi sentire, ma non era ancora così forte da fermare l'entusiasmo: per molti di noi questo era il primo viaggio fuori dall'Europa, per cui anche la novità più insulsa risultava incredibile. Si dice che dall'aeroporto di Dubai si riesca a vedere un enorme edificio luminoso che graffia la volta celeste con la sua punta acuminata e sottile come uno spillo, il grattacielo più alto del mondo, il Burj Khalifa. In effetti, è così: da quella fugace occhiata che abbiamo dato da un finestrone dell'imponente aeroporto alla città in lontananza, durante l'estenuante sosta negli Emirati Arabi, sembrerebbe la verità. Lo scalo a Dubai è stato a mio parere il momento più pesante di tutti: molte cose sono accadute, tra cui il cambio improvviso del gate, il conseguente ritardo della partenza e la lunga fila per raggiungere il mezzo di trasporto. Il clima torrido, poi, ha incrementato la nostra stanchezza, perciò, trovato il posto giusto nella zona dell'economy class del Boeing EK4467, ciascuno di noi è immediatamente caduto tra le braccia di Morfeo. 
C'è chi ha dormito tutto il viaggio, chi per metà, chi per niente; fatto sta che abbiamo passato altre dieci ore seduti, mangiando o rilassandoci per riprendere le energie perdute, in modo da apparire al meglio davanti alle famiglie che ci avrebbero ospitato. Quando finalmente siamo scesi a terra con le gambe formicolanti, siamo passati per la dogana e abbiamo ripreso le valige, solo allora abbiamo realizzato veramente che eravamo giunti alla "terra promessa", ce l'avevamo fatta. Finalmente ci siamo uniti alle famiglie, che ci aspettavano trepidanti. Felici ma esausti, abbiamo seguito i nostri "hosts", cominciando così la loro conoscenza e mettendo le basi per quello che poi sarebbe diventato uno splendido rapporto di amicizia, ne eravamo certi.






Margherita Aquilino, III B

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