“LIBERTA’ E’ PARTECIPAZIONE”. CONFERENZA DEL PRESIDENTE DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI, GIOVANNI STEFANI’.


STEFANI' III


Libertà è partecipazione”. Così cantava Giorgio Gaber negli anni Settanta, in un clima politico teso, confuso, gravido di contraddizioni e di un malcontento troppo a lungo costretto a tacere; sullo sfondo, un’Italia in bilico, vacillante sotto il peso di una crisi sul punto di esplodere, fastidiosamente somigliante, benché per ragioni diverse, a quella degli anni zero, dei nostri anni. Il concetto di libertà, invece, è sopravvissuto nella sua purezza, in quanto ente primordiale di ogni sistema sociale, all’azione corrosiva del tempo: la sua è più che semplice affinità con il passato, è totale corrispondenza. Qualunque sia il periodo storico attraversato, essere liberi significa partecipare, partem capere, “prendere parte”, contribuire: lo sottolinea con accorata convinzione l’avvocato Giovanni Stefanì, presidente dell’Ordine degli avvocati di Bari, citando il grande cantautore di cui sopra. Il rinomato avvocato, anche lui classicista, ha incontrato lo scorso 19 marzo le classi terze del liceo classico Domenico Morea e alcuni studenti dell’Istituto Professionale Severina De Lilla nella Sala Conferenze del Castello di Conversano, intavolando una discussione ampia e coinvolgente su un tema che, anche per via della violenta estirpazione dell’educazione civica dalla rosa delle materie d’insegnamento obbligatorie nelle scuole, appare sempre più distante dal mondo dei giovani: la legalità.


Stefanì ha trattato le più svariate declinazioni dell’oggetto di discussione principale, stimolando il giovane pubblico, che ha partecipato attivamente ponendo numerose domande al relatore; significativo anche l’intervento del sindaco di Conversano, Giuseppe Lovascio. Dopo una breve introduzione a cura della professoressa Luisa Brattico e di Annabella Volza, l’avvocato si è lanciato in un’appassionata ode alla consapevolezza, la cui acquisizione permette di autoindirizzarsi coscientemente verso la strada più conforme a quello che si è e di trovare in sé la propria funzione sociale, perché, per dirla con le parole di Seneca, membra sumus corporis magni, siamo membra di un grande corpo, ingranaggi di un meccanismo più complesso. ”Siate liberi nelle vostre scelte”, esorta fermamente Stefanì, perché soltanto in tal modo ci si può incamminare con decisione, contezza e fiducia per il tortuoso cammino della vita.

STEFANI IV

Dalla consapevolezza il discorso si estende fino ad incappare in temi più spinosi e ostici, esempi emblematici della difficoltà che chiunque, persino gli esperti in materia, incontra nel tentativo di dipanare la matassa aggrovigliata dei fili di una giustizia profondamente contaminata, troppo spesso intrecciati con quelli degli interessi politici, della smania di “economicizzazione” e della spettacolarizzazione sfrenata. I media, come sostiene Stefanì, sono un potente strumento di comunicazione, ma l’informazione va organizzata in modo tale che non si svilisca fino a divenire una pallida versione parziale della realtà dei fatti, snaturata dal filtro mediatico, come invece molto spesso accade: il risultato è che si crede davvero che tutto ciò che viene propinato aderisca perfettamente a quella verità cui aspira chiunque voglia vivere nella legalità, intesa come rispetto di sé e degli altri, più che come mera sottomissione alle leggi. Leggi che risultano essere, in taluni casi, profondamente ingiuste, lontane anni luce da quanto sosteneva Giuseppe Mazzini, per cui invece esse dovrebbero “esprimere l’aspirazione generale, promuovere l’utile di tutti, rispondere a un battito del cuore della Nazione. La Nazione intera deve esser dunque, direttamente o indirettamente, legislatrice”.


E perché mai vengono approvate, queste leggi ingiuste? Ebbene, la legislazione schizofrenica, per cui ad ogni minima crepa nel funzionamento delle norme già in vigore il potere di legiferare finisce nelle mani degli organi dell’esecutivo, rende possibile l’illegittimità delle leggi stesse. “Andiamo avanti a decreti e riforme: la maggior parte delle leggi è inutile”, rileva l’avvocato. In Italia – come ricorda la professoressa Brattico – secondo una stima di Normattiva, un progetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Senato e della Camera dei Deputati, il corpus normativo statale dei provvedimenti numerati (leggi, decreti legge, decreti legislativi, altri atti numerati) comprende 75.000 unità. 75.000 diktat arzigogolati e di difficile comprensione, piazzati a mo’ di toppa sul lercio vestito squarciato in più punti della nostra legalità, un tempo integro nel suo candore.

STEFANI VIII

Ma è pur sempre vero che la legalità siamo noi. “Tenete la testa alta e la schiena dritta, andate a scuola: dovete sapere, perché sapendo si riesce a capire dov’è il giusto e dov’è l’ingiusto”: le vite brutalmente stroncate di alcuni paladini del rispetto delle regole e della resistenza, come Giovanni Falcone, Peppino Impastato e Piero Calamandrei, s’infilano dolorosamente nella discussione. Modelli paradigmatici ancora troppo spesso ricordati solo in occasione di ricorrenze particolari o alla notizia della morte di qualcun altro che tenta di andare contro corrente, contro il sistema. Un sistema che non ci appartiene, che non sentiamo nostro, che non capiamo, che non ci sforziamo di comprendere perché lontano da quello che vogliamo: è difficile sentirsi italiani, “ma per fortuna o purtroppo” lo siamo. È alle quanto mai attuali parole di un’altra celebre canzone di Gaber, per l’appunto Io non mi sento italiano, cantata da Gaetano Spagnuolo e Vito Stolfa con l’accompagnamento di Alessandra Ruggiero alla chitarra, che l’avvocato Stefanì ricorda i suoi anni Settanta, i rivoluzionari e travolgenti anni dell’occupazione, del disagio sociale che aveva fatto maturare gli ideali, e degli ideali esplosi in rivolte. “Io le ho fatte quelle cose, ma i risultati non li ho visti. Forse eravamo distratti dal nostro sentimento… Avevamo ragione, ma pensavamo che bastasse occupare le scuole; invece bisogna parlare, dialogare, proporre delle idee”. Questo il sogno che gli adulti di oggi, ovvero i giovani infervorati di ieri, non sono riusciti a realizzare, benché ci fossero le basi. “Io sono convinto di una cosa”, – continua Stefanì – “cambiare il sistema è impossibile, ma non siamo spacciati; voi dovete essere liberi partecipando”.

STEFANI X

Ricominciare, dunque, ripartire da zero, gettare le fondamenta di un nuovo sistema. Sarà la volta buona? Saremo forse noi a rinnovare questo mondo tanto sbagliato, a farlo rinascere dalla nostra legalità, ormai carbonizzata, o delegheremo ancora una volta, come è già accaduto in passato, l’ingrato e oneroso compito alle generazioni future? Per adesso, possiamo soltanto impegnarci al massimo, ed eventualmente credere in quello che facciamo. “E fintantoché lo farete, forse questo Paese può cambiare”, conclude l’avvocato Giovanni Stefanì, un attimo prima che la Sala Consiliare risuoni dello scrosciare degli applausi.

STEFANI XI

STEFANI XII


STEFANI' XIV

STEFANI XV

STEFANI XVII

ISABELLA LOCAPUTO, III A
Fotografie di MARIAFRANCESCA MONTANARO, III A

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