SEMPLICEMENTE, CHIARA…

Amici, le custodisco da un po’. Gliele avevo chieste per pubblicarle, ricordando quanto fosse brava già tre anni fa’. So quanto lei ci tenga, quanto cuore e testa ci metta tutte le volte che ne scrive una. Poi ho esitato, perché a me sono piaciute molto e, in qualche modo, mi pareva quasi una violazione. Ho esitato perché volevo tenermele per un po’ solo per me. Perché quando li hai lasciati da due anni e sei stata con loro per tre come insegnante, credi di conoscerli, ma scopri che sono diventati altro. Molto altro. E, sì, è cosa buona e giusta, ma un po’, intimamente, te ne rattristi.  O, forse, non li conoscevi poi così bene.

Certo, Chiara non è una che comprendi tanto facilmente. Anche se scrive poesie. Forse perché scrive poesie. Pensavo di conoscerla, come un’insegnante può conoscere un’ex alunna…complessa come l’universo! Ma Chiara e’ Chiara: puoi starla a sentire, cercarla nei suoi versi (se vorrà mostrarteli): non puoi pensare di arrivare a conoscerla bene (e quale essere umano è completamente conoscibile?).
Sono uscita dalla sua classe due anni fa. Una classe di ragazzi bravi, educati, intelligenti: speciali. Quest’anno andranno via e, una volta di più, la scuola mi sembrerà svuotarsi.
Queste sono le poesie di Chiara Grazia Valenzano, docta puella di V B.
I
Caos trasformò i sorrisi in ombre,
restituì al cielo le sue tempeste,
ordinò che mai più sulla terra si danzasse,
che mai più un fuoco rischia tasse,
mai più un bimbo nascesse.
Tornò il freddo a nutrirsi di silenzio
e Gaia fu ancora tomba dei suoi figli.
Con Eros giacché in un’unione sterile;
senza evirazioni e senza creature,
si distrusse lui in una libidine macabra.
Il Tempo non disse addio, né diede segno.
Giustizia non abbandonò, ma si arrese.
Saggezza faceva da tempo immemore.
L’Arte nessuno la invocava, nessuno la guardava.
E Zeus Onnipotente giaceva prono e tremante.
E l’uomo, stolto, non lo seppe
che viveva ai tempi dei Giganti e dei violenti,
che anche la Speranza era morta
in fondo al vaso di Pandora.
Morì; e non sapeva di aver vissuto.
Il più grande vuoto
era sempre stato
nel suo petto.
 II
Canterò allora come le foglie del mattino. 
Non più sentirai i miei passi,
non ci saranno impronte sulla sabbia, non guarderemo indietro.
Sarò ombra di luna e tu nube d’estate.
L’acqua disseterà i solchi dei nostri corpi stanchi,
sui nostri corpi morti non butteranno terra umida.
Che blasfemia sarebbe, la sepoltura d’anime!
Ti nutrirò di sangue.
Tomiri e Ciro in un sol fiato
imprecheranno.
Li lasceremo urlare nella notte: 
inventeremo balli nuovi
che daranno vita al sole.
CHIARA GRAZIA VALENZANO, V B

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