BADESSE CUSTODI DI ARTI

Nel Monastero di San Benedetto di Conversano sono racchiusi attimi di storia, opere appartenenti all’epoca badessale, del 1084, nel pieno fiorire del potere feudale sul Vico Castellano, dopo la guerra contro gli Angioini, riportati alla luce dalle suore e dalle badesse. Tra questi capolavori emerge:



Ars est Artium ars Amoris’  ‘Amour est d’ars, car en son l’artefice’


Il latino, la lingua dei dotti, la lingua della chiesa, a coronare l’amore spirituale; il francese la lingua dei romantici per eccellenza con la sua cultura all’epoca dominante, emblematico dell’amore terreno.
L’amore: il cuore simbolo da sempre associato all’amore, il centro tra due figure vicine, ma non troppo, simili, ma non uguali, due angeli, uno alato, l’altro no. L’uno guarda l’amore, lo riconosce, l’altro prova a toccarlo, ma è bendato, è cieco. Creati da un pittore pugliese, capace di racchiudere l’amore in tutte le sue forme in un quadro. L’angelo bendato è l’amore terreno, Eros, un angelo pronto a scagliare la freccia, a sperimentare l’ignoto; l’altro, con gli occhi scoperti, l’amore spirituale, agapé: un angelo che ha riposto le frecce e può giungere all’auto-annientamento, con dedizione incondizionata.
Il cuore trafitto dalle frecce rappresenta il cuore di Gesù, che, centrale, non smette mai di pulsare e di sprigionare energia positiva.



                                                         La porta dei cento occhi


Proseguendo la visita del grande monastero, non passa inosservata la porta, collocata in epoca badessale o all’ingresso del piano nobile o come porta di una cella punitiva. Infatti, osservandola, sembra quasi che tutti quegli occhi, grandi e dai tratti femminili, creino soggezione. Si pensa che fosse proprio il luogo dove le novizie riottose venivano rinchiuse per punizione e venivano spiate attraverso una cavità, creata nella pupilla di uno degli innumerevoli occhi. Essa, in legno, rappresenta al centro Argo con un pugnale insanguinato. Molto suggestiva anche la frase: ‘Qui potest capere capit’, poi richiamata dal famoso proverbio: ‘A buon intenditore poche parole’. È possibile provare il disagio che le persone lì rinchiuse vivevano e anche fantasticare sul loro tentativo disperato di vedere uno spiraglio di luce e salvezza, cercando l’occhio comunicante con l’esterno, per uscire da quella sorta di  labirinto claustrofobico.  
Altre importanti opere presenti nel monastero appartengono all’allora illustre pittore Nicola  Gliri, a cui le suore e le badesse del monastero commissionavano la rappresentazione di scene della passione di Cristo. Gesù vi appare il più delle volte avvolto da un’aura, che dona lucentezza e veridicità alle forme del corpo. Gesù viene anche raffigurato con sguardi sofferenti e chiedenti aiuto, rivolti verso il cielo, in atto di preghiera. 


    
                                                 
                                                                               
                                                       
      Serena Pasqualino, IIB 

Commenti

Post più popolari

UN GINNASIALE IN CONSULTA

AULULARIA: un esercizio di riscrittura

AD UN VINCITORE NEL CERTAMEN