PAESAGGIO, LINGUA MADRE


Oggi, lunedì 4 febbraio, un gremito Palazzo della Cultura ha ospitato una conferenza doppia, organizzata per il Libroscopio dal benemerito Presidio del Libro di Noicattaro. Un duetto concertato magistralmente dal moderatore Pino Donghi, semiologo, saggista, accademico, divulgatore scientifico, quello tra Ugo Morelli, esperto di psicologia del lavoro e delle organizzazioni, e Michele De Lucchi, designer, architetto e accademico italiano.
Il titolo, assai evocativo, “Paesaggio, lingua madre”, incuriosisce, più che svelare l’argomento. Dunque, ascoltiamo.
Dopo una brevissima introduzione del presidente del Presidio, Luigi Grande, Pino Donghi presenta il primo relatore, De Lucchi, che sottolinea l’importanza della distanza da cui osservare le cose, al fine di interpretarle. Una distanza che si fa relativo punto di vista. È la distanza a determinare l’interpretabilità dell’oggetto. Scorrono sullo schermo una serie di immagini  che commentano le varie declinazioni del paesaggio attraverso le parole con cui esso rima: saggio, ortaggio, formaggio, ingranaggio, stoccaggio, viaggio, messaggio, selvaggio, miraggio... Il designer ci ricorda che gli uomini sono diventati padroni del mondo, perché fabbricano oggetti. Gli animali riproducono oggetti sempre uguali. Invece l’uomo persegue la diversità, quale fonte di meraviglia e di bellezza e forte è il rapporto tra bellezza e politica. E allora, come un lampo, mi attraversa la mente il pensiero che i paesaggi più degradati si trovano nelle regioni più povere: quindi la cura del paesaggio dovrebbe coincidere con la lotta alla povertà... 
Ma non ho tempo per approfondire il ragionamento, perché prende la parola lo psicologo Morelli, aggiungendo un sorprendente termine inedito a quelli che rimano con paesaggio: ostaggio. Poi ci spiega perché. 
Morelli ha collaborato a Palermo con il sindaco Leoluca Orlando, che voleva riaprire il Teatro Massimo. Transenne alte di legno recintavano il teatro, neppure più visibile, nella città dei Ciancimino, che pur pagava centinaia di addetti senza aver prodotto da anni un singolo minuto di spettacolo. Perché niente spaventa i sistemi mafiosi più della cultura. Ebbene, il teatro fu riaperto, ma non è questo il punto. Passando per la Vucciria, a Morelli capito’ di imbattersi in un ragazzino, tale Calogero, che giocava a pallone in uno spazio lercio e ristretto. Quando gli chiese come mai avesse scelto proprio quel luogo per quel genere di gioco, il piccolo rispose: “Ma questo è il mio posto, eh”. Dalla forte impressione ricavata da quel breve colloquio con un bambino, nacque il progetto “Paesaggio, lingua madre”. Studiando bambini e preadolescenti, si è scoperto che man mano che un essere umano acquisisce una visione simbolica della realtà, pur essendo immerso in essa, la presa di distanza dalla realtà lo aiuta a comprenderla. Lo spazio viene interiorizzato, via via che diviene altro da se’. E se ciò è vero, ne deriva che egli interiorizzi anche i materiali dello spazio in cui cresce. Lo spazio struttura le personalità, nel bene e nel male. 
Pericle, nel celebre Epitafio per i caduti del primo anno della guerra del Peloponneso riportato da Tucidide, diceva: “... affermo che tutta la città è la scuola della Grecia (...)E che questo non sia ora un vanto di parole più che una realtà di fatto lo indica la stessa potenza della città, potenza che ci siamo procurata grazie a questo modo di vivere. Sola tra le città di adesso, infatti, essa affronta la prova in modo superiore alla sua fama, e lei sola al nemico che la assale non dà motivo di irritazione quando costui considera da chi è vinto, né al suddito, motivo di disprezzo, come se costui non fosse dominato da persone degne.
Noi spieghiamo a tutti la nostra potenza con importanti testimonianze e molte prove, e saremo ammirati dagli uomini di ora e dai posteri (...) stabilendo ovunque monumenti eterni delle nostre imprese fortunate o sfortunate (....). I vicini ci invidiano, ammirano la bellezza della nostra città, vengono volentieri a visitarla... questo accade perché tutta la città è la scuola della Grecia”.
Se un paesaggio può portare ad una crescita interiore di noi stessi quale quella appena illustrata, alla formazione e strutturazione del carattere dei popoli e degli individui, allora è vero pure il contrario: può determinare anche una mortificazione dell’essere. Possiamo essere ostaggi di un posto.
Da qui l’importanza della distanza. Lo spazio non è una struttura neutrale. Occorre avere la piena coscienza dei luoghi. Il paesaggio è l’aria, l’acqua, il cibo, il modo in cui è tenuto. L’umanità è composta ormai da 7 miliardi e mezzo di individui, che presto diverranno 9 miliardi. Quale paesaggio della nostra vita stiamo costruendo coi nostri comportamenti? Prendiamone alfine coscienza.
Ancora pensieri mi attraversano la mente come proiettili, domande generano altre domande: come si concilia la creazione, e quindi la vendita e l’acquisto, di oggetti, di strutture sempre nuovi con i prossimi 9 miliardi di persone e con paesaggi sempre più urbani e degradati? Il desiderio di preservare i paesaggi del cuore e dell’anima non può determinare neoesclusioni, nuovi razzismi, laddove l’essere umano, con le sue necessità, viene visto come una minaccia all’integrità del paesaggio? Pericle, in quell’ideale rappresentazione della democrazia ateniese, diceva anche: “Noi non respingiamo mai uno straniero”. 
Cominciano gli interventi del pubblico e comprendo subito che, anche se un po’ mi manca l’aria per quei 9 miliardi, starò a sentire, perché le menti di parecchi hanno viaggiato in direzioni simili alla mia.
Qualcuno sottolinea la necessità che architettura e design vadano nella direzione del riuso, recupero, rigenerazione, riqualificazione dell’ambito urbano. La Legge sulla bellezza del territorio pugliese intende proprio seguire questo itinerario. 
Uno studente di architettura chiede, appunto: può l’architetto aiutare l’uomo a trattare meglio l’ambiente in cui vive? 
E ancora: paesaggio fa rima anche con villaggio e un antico proverbio africano recita che, per tirar su un bambino, occorre l’intero villaggio. Cosa ci sta sfuggendo di mano perché si verifichino sempre più di frequente episodi di violenza ed intolleranza verso gli stranieri?
De Lucchi richiama la necessità di tornare a coltivare oggi la bellezza dei comportamenti, perché esiste anche una componente etica della bellezza, come dicevano già gli antichi greci (καλός κγαθός, bello e buono), mentre Morelli risponde con una nuova domanda: un prato di montagna è realtà naturale o artificiale? Quasi tutti risponderanno che è naturale, ma artificiale vuol dire etimologicamente “fatto ad arte”. Perché un paesaggio possa esistere ci vuole un uomo che lo guardi, quindi tutto è in varia misura “artificio”. Tuttavia la bellezza non dovrebbe essere solo qualcosa da guardare, non è sempre qualcosa di buono. Bin Laden trovava “bello” il disastro delle Twin Towers l’11 settembre. Allora il grande insegnamento che se ne può trarre è che occorre affrettarsi ad uscire da un malinteso senso di appartenenza, che ha causato i peggiori disastri. Morelli ricorda ancora l’ostilità incontrata da una legge che vietava la costruzione di una seconda casa a Madonna di Campiglio per i residenti che ne avessero già una. Una vera e propria ribellione “popolare”, e poi i giovani non potevano metter su casa per non degradare un delicato ecosistema già duramente intaccato da abusivismo e speculazione edilizia. 
Daniel Kahneman, psicologo israeliano, vincitore del Premio Nobel per l'economia nel 2002, suggerisce un esperimento che può partire da un qualsiasi stimolo a far qualcosa, dalle orecchiette e cime di rape, all’alzarsi dal letto la mattina, al leggere un libro. Se si pone il campione sperimentale di fronte a questa duplice opzione, A) mantenere l’abitudine acquisita , B) cambiare comportamenti, si vedrà, allora, che i due terzi del campione sceglieranno di continuare l’abitudine. Cambiare stile di vita, cambiare abitudini è operazione lenta e complessa. E tuttavia occorre smettere di pensare al brutto come alla distinzione tra ciò che ci piace e ciò che non ci piace, aggiunge De Lucchi. Il vero problema è dar senso alle cose e le cose prendono un senso diverso a seconda di come le si dispone e combina insieme. Come a teatro. E allora perché ci piace il brutto, perché lo riproduciamo? Abbiamo bisogno di un nuovo racconto. Il problema è acquisire occhi nuovi. Il paesaggio ha a che fare con polmoni, sangue, pelle. Non è il primato dell’occhio. 
Così, tra applausi convinti, si conclude la terza giornata del Libroscopio e sapete, amici? Oggi, io, innamorata di Conversano e della sua vita culturale, abitante di Rutigliano, mi sono sentita davvero orgogliosa dei cugini di Noicattaro. E un orgoglio ancora più grande ho letto negli occhi dei miei amici nojani. 
Così si determinano i paesaggi dell’anima.


DOMINGA VALENZANO, IV B LC

Commenti

Post più popolari

UN GINNASIALE IN CONSULTA

AULULARIA: un esercizio di riscrittura

AD UN VINCITORE NEL CERTAMEN